Il Turco in Italia Libretto

Nostra patria è il mondo intero,

e nel sen dell'abbondanza
l'altrui credula ignoranza
ci fa vivere e sguazzar.

Hanno tutti il cor contento,

sol la misera son io!
Ho perduto l'amor mio,
e no 'l posso ritrovar.

Consolatevi una volta;

divertitevi con noi.
Via... coraggio! tocca a voi
la canzone a cominciar.

Ho da fare un dramma buffo,

e non trovo l'argomento!
Questo ha troppo sentimento,
quello insipido mi par.

Esaltato in ogni parte

il gran nome sia di lui,
che primier c'insegnò l'arte
di mangiare a spalle altrui
senza troppo faticar.

Come! zingari! per bacco!

gioia, canto, colazione!
Oh! che bella introduzione
vi sarebbe da cavar!

Nostra patria è il mondo intero,

e nel sen dell'abbondanza
l'altrui credula ignoranza
ci fa vivere e sguazzar.

Buono! bravi! è vero, è vero,

è bellissima l'usanza
di mangiare in abbondanza
e di niente faticar.

Ah! se di questi zingari l'arrivo
potesse preparar qualche accidente,
che intrigo sufficiente
mi presentasse per un dramma intero!
Un bel quadro farei tratto dal vero.
Abbandonar bisogna
di scrivere il pensier sopra i capricci
della bella Fiorilla: han messo in scena
poeti di ogni razza
sciocco marito, ed una moglie pazza.
Ecco appunto Geronio
che ha la mania di farsi astrologare:
corro i zingari presto ad avvisare.

Vado in traccia d'una zingara

che mi sappia astrologar:

che mi dica in confidenza,

se col tempo e la pazienza,
il cervello di mia moglie
potrò giungere a sanar.

Ma la zingara ch'io bramo

è impossibile trovar.

Ché il cervello di mia moglie

è formato di tal pasta,
che un astrologo non basta
come è fatto ad indagar.

Chi vuol farsi astrologar!

Ecco appunto a me vicino

uno stuol di zingarelle.

Noi leggiamo nel destino,
noi leggiamo nelle stelle:
chi vuol farsi astrologar!

Zingarelle!...

Qua la mano.

Aspettate...

Presto...

Piano.

Il passato vi diremo.

Più di voi lo so sicuro.

Il presente scopriremo.

Lo so anch'io.

Dunque il futuro?

Giusto quello.

Poverino!

Cosa è stato?

Qual destino!

Ma parlate.

Ognor sarete

sciocco e gonzo come siete...

Eh! toglietevi di qua.

Sempre sempre... ah! ah! ah!

Ah! mia moglie, san chi sono

fino i zingari di piazza;
se tu segui a far la pazza
tutto il mondo lo saprà.

Che fatal costellazione!
Sempre pazza!... ah! ah! ah!

Eh! lasciatemi, buffone!
Eh! toglietevi di qua.

Brava! intesi ogni cosa;
voi siete, zingarella, spiritosa.
Qual è la vostra patria?

Ebbi la vita

del Caucaso alle falde!

Uh! qual ventura

da sì lontane terre
qui vi tragge raminga?

I casi nostri

sono un vero romanzo.

(Buono!) Sarete stata
certo in qualche serraglio.

Un dì felice

schiava in Erzerum vissi
di Selim Damelec.

E i mali suoi

incominciar colà.

Che mai v'avvenne?

Udite: egli mi amava,
e sposarmi volea; le mie rivali
mi fan agli occhi suoi
infida comparir: cieco e furente
lo rende gelosia,
ed impose a costui che morta io sia.
Albazar mi salvò. Lungo sarebbe
il dir quanto soffersi, in quanti modi
crudo destin m'offese
come qui, con tal gente, in questo arnese.

Un bel pensier mi viene,
che può farvi felice.

In qual maniera?

Debbe arrivar stasera
certo principe turco, il qual viaggia
per visitar l'Italia, ed osservare
i costumi europei.

Mi sembra strano

che salti in testa a un turco
questa curiosità!

Il caso è molto raro in verità.
Ma pur sicuramente egli è aspettato;
anzi gli han preparato
un palazzo magnifico, e una festa.
Pochi giorni qui resta,
poi ritorna in Turchia. Dov'ei conosca
la fé del vostro cuore,
si farà coll'amante mediatore.
Dite: migliore idea...

Trovar non si potea.

Facil vi fia

al principe l'ingresso?

Se a Selim ritornarvene bramate
lasciate fare a me.

Sì: non ho pace

lunge da lui; benché mi sia crudele
l'amo, l'amai; sempre gli fui fedele.

Non si dà follia maggiore

dell'amare un solo oggetto:
noia arreca, e non diletto
il piacere d'ogni dì.

Sempre un sol fior non amano

l'ape, l'auretta, il rio;
di genio e cor volubile
amar così vogl'io,
voglio cangiar così.

Voga, voga, a terra, a terra.

Un naviglio! Turco pare.

Dal travaglio avuto in mare
riposar potremo qua.

In disparte ad osservare
noi starem chi approderà.

E scordare il ciel d'Italia
ogni pena ci farà.

Cara Italia, alfin ti miro.

Vi saluto, amiche sponde;
l'aria, il suolo, i fiori e l'onde,
tutto ride e parla al cor.

Ah! del cielo e della terra,

bella Italia, sei l'amor.

(Che bel turco! avviciniamoci.)

(Quante amabili donzelle!)

(Anche i turchi non mi spiacciono.)

(L'italiane son pur belle.)

(Vo' parlargli.)

(Vo' accostarmi.)

(E mi voglio divertir.)

Serva...

Servo.

(È assai garbato.)

(Oh! che amabile visetto!)
Son davvero fortunato
d'incontrar sì vago oggetto.

Anzi è mio tutto il favore
d'incontrare un gran signore
così pien di civiltà.

(Son sorpreso.)

(È già ferito.)

(Che avvenenza!)

(È nella rete.)

Voi, signora, mi piacete.

Non mi burli...

In verità.

(Con un poco di modestia
io so ben quel che si fa.)

(Quell'amabile modestia
più gentil sembrar la fa.)

Addio, signor...

Partite?

Vo passeggiando un poco.

Che venga anch'io gradite?

È troppo onor.

(Che foco!)

Carina!... - sospirate?

Voi pure.

Anch'io.

Perché?

Perché una fiamma insolita
sento che avvampa in me.

Deh! la mano a me porgete.

Della man che far volete?

Non vi voglio più lasciar.

Della zingara amante
non è buffo il carattere,
ma bello e interessante. È teatrale
il principio dell'opera,
ma non ci vedo intreccio naturale.

Poeta!

Don Narciso!

come! siete qui solo? io vi credea
della vostra Fiorilla in compagnia.

Venne meco; ma poi prese altra via.
Ditemi, la vedeste?

Io, no.

(Colei

ha qualche intrigo che mi tien nascoso.)

(Pensa il servente cavalier geloso.
Scopriam terreno: mi potrebbe offrire
qualche bell'episodio.)

(All'incostante son venuto in odio.)

Amici... soccorretemi,
consigliatemi... io son fuori di me.

Perché? che avvenne mai?

Che nova c'è?

In questo punto io vidi
mia moglie con un turco.

Un turco!

(Infida!)

In casa mia lo guida
a bevere il caffè. Sien maledetti
tutti i turchi del mondo.

(allegro)

Un punto è questo

da farsi molto onore...

Io non mi curo

d'aver in casa mia
il gemmato turbante
di Selim Damelec.

(saltando per allegrezza)

Che? Selim! Davvero!

L'amante della zingara! per bacco!
Questo arrivo improvviso
è un bel colpo di scena: il dramma è fatto.
Apollo ti ringrazio.

È matto.

È matto.

Un marito ~ scimunito!

Una sposa ~ capricciosa!
No, di meglio non si dà.

(adirato)

Mio signor, che burla è questa?

Mi rispetti; o che la testa
qualchedun le romperà.

Un galante supplantato

da un bel turco innamorato!
Oh! che intreccio che si fa!

(sdegnato)

Per chi intende di parlare?

Non ci venga ad insultare,
o con me da far l'avrà.

(ora all'uno, ora all'altro)

Ma signor, perché si scalda?...

Ma signor, perché s'infiamma?
Sceglier voglio per un dramma
l'argomento che mi par.

Scelga pure un argomento

che a' miei pari non si adatti,
e i mariti non maltratti,
che san farsi rispettar.

Lasci vivere i galanti,

e non badi al loro stato;
o un poeta bastonato
io farò nel dramma entrar.

Atto primo, scena prima,

il marito coll'amico...
Moglie... turco... grida... intrico...
No, di meglio no si dà.

Atto primo, scena prima,

il poeta, per l'intrico,
dal marito e dall'amico
bastonate prenderà.

Olà: tosto il caffè.

(ad un servo che parte)

Sedete.

Ammiro

di questo gabinetto i ricchi arredi;
ma per sì gran beltà come la vostra
un tempio ci vorria,
e ne avreste un magnifico in Turchia.

Qualche serraglio forse? è ver che i turchi
sono tanto gelosi?

Ah! se un tesoro

possedessero eguale,
della lor gelosia sarian scusati;
vi amerebbero più che non credete.

Ecco il caffè.

(Non posso più!)

(versando e porgendo)

Prendete.

(Che mano delicata!)

Il zucchero è bastante?

(Che maniera elegante!
Che begli occhi, e che foco in lor scintilla!)

A che pensate mai?

Penso a Fiorilla.

(Il turco è preso.) Quante donne amaste?
Quante vorreste averne?

Una ne amai,

né amar voleva più: ma presso a voi
sento ch'è forza ancor arder d'amore.
Deh! se gradir l'affetto mio volete,
l'unica del mio cor fiamma sarete.

Siete turchi: non vi credo;

cento donne intorno avete:
le comprate e le vendete
quando spento è in voi l'ardor.

Ah! mia cara, anche in Turchia

se un tesoro si possiede,
non si cambia, non si cede;
serba un turco anch'egli amor.

(sulla porta)

Ecco là... da soli a soli!

Che mi tocca a sopportare?

(entrando)

È permesso? si può entrare?
Sperar posso un tal favor?

Che pretende quell'ardito?

Vi calmate: è mio marito.

(balzando in piedi e snudando un pugnale)

Il marito!... indietro... presto...

Come?... ahimè!... che tratto è questo?

Il marito! indietro...

Aiuto!

Compatite: è qui venuto,
poverino, a farvi onore.

Non mi fido.

Sì signore.

(Ciel, che vedo! l'incostante

già del turco è fatta amante.)

E domandavi il favore
di baciarvi...

Sì signore.

Il vestito. ~ Presto qua.

(costringe il marito a baciare la vesta del turco)

Io stupisco, mi sorprendo;

in Turchia non son mariti
sì gentili, sì compiti,
così pieni di bontà.

(Oh che scena!) Dite bene:

(vecchio stolido!) i mariti
(me la godo!) son compiti,
sono pieni di bontà.

(Ah lo vedo: i torti miei,

sventurato! son compiti.
Giusto amor! deh! sian puniti
tanti oltraggi che mi fa.)

(Maledetto!) Dice bene:

(ah! pettegola!) i mariti
(crepo, schiatto!) son compiti,
sono pieni di bontà.

Come! sì grave scorno

soffrir potete in pace?

Costui mi è sempre intorno.

Che vuol da voi l'audace?

Nulla.

Che mai pretende?

Niente.

Che dire intende?

Né lo cacciate in strada?

No 'l voglio in mia presenza.

Fate che se ne vada.

Politica!... Prudenza!...

Sentite.

Qua.

Via, su.

Ma sono stufo omai,

ma non ne posso più.

(appresandosi a Fiorilla, e parlandole in disparte)

Teco parlar vorrei,

in riva al mar t'aspetto.
(Costor mi fan dispetto,
è meglio uscir di qua.)

(per partire, e tornando indietro)

(a Fiorilla)

Ma pria di lasciarvi

volgetemi almeno
il ciglio sereno,
un guardo d'amor.

(Que' due seccatori

l'assediano ognor.)

(a Selim)

Ma pria di lasciarmi

volgetemi almeno
il ciglio sereno,
un guardo d'amor.

(Que' due seccatori

si rodano il cor.)

(a Geronio)

Dovreste mostrarvi

men debole almeno;
mirate: son pieno
per voi di rossor.

(Mi straziano l'alma

lo sdegno e l'amor.)

(a Narciso)

Non posso spiegarvi

la rabbia che ho in seno:
son tutto veleno,
son tutto furor.

(Ma pure mi calma

del turco il timor.)

(partono Selim, Fiorilla e Narciso da parte opposta; resta in iscena don Geronio che passeggia a lunghi passi)

(Sono arrivato tardi.
Il turco è già partito...
Oh! buon segno: sbuffar veggo il marito.)

(Un vecchio non può far maggior follia
che una moglie pigliar che giovin sia.)
Amico! non ti sembra
ch'io meriti pietà? Qui l'ho sorpresa
vagheggiata dal turco, ed il bestione
ammazzar mi volea.

Bene!

Che dici?

Mi astrinse, per placarlo,
a baciargli il vestito.

(Oh! il bel terzetto!)

E qui restava ancor se don Narciso
non arrivava a tempo, e non prendea
giusta difesa di oltraggiato sposo.

(Che scena! che quartetto prezioso!)

Ma di che vai parlando? io non intendo.

Scusate: disponendo
stavo il mio dramma. Or che pensate voi
di dire a vostra moglie?

Oh! s'ella fosse

docil com'era la mia prima sposa!
Le mie ragioni far valer potrei,
ma il rovescio è costei della medaglia.

È tal perché in voi trova un uom di paglia.

(parte)

Il Poeta ha ragione. È la pazienza
la virtù de' somari: alfin sono io
quel che ha da comandare in casa mia;
o quel turco, o mia moglie vada via...

(È Geronio ancor qui! Cattivo incontro:
sarò costretta per un quarto d'ora
ad ascoltar precetti di morale.)

(Eccola: gravità!)

(Predichi quanto vuol; tacer dovrà.)

Quanti bocconi amari
mi si fanno inghiottir!

Con chi l'avete?

Con una donna pazza,
bizzarra, capricciosa,
che per disgrazia a don Geronio è sposa.
Stanco son io...

Vi prego

a non gridar sì forte,
che duolmi un poco il capo.

Anche a me duole.

Ma cospetto! farò!...

Non vi scaldate.

Non sapete parlar se non gridate.
Vi par che sia ben fatto,
che un uom del vostro rango
debba strillar così?

(L'ammazzerei.)

E par ben fatto a lei
di farmi disperar?... Corpo di bacco!
Vi metterò riparo.

Piano, sposino caro.

Impertinente!

Già col gridar non ottenete niente.

Ebben, si parli piano.

Se la domanda è lecita,
dite, mio dolce amor, saran poi lunghe
le vostre ammonizioni?

Oh! lunghe molto.

Se non le ristringete, io non le ascolto.

Le ascolterete, sì, le ascolterete,
signora smorfia, o alla capanna antica
tornerete in Sorrento ove vi presi.
Gran sproposito ho fatto!
Se più resto con voi divento matto.

Voi sempre vi lagnate. Anch'io ragione
avrei di lamentarmi,
eppur cheta mi sto.

Voi! questa è bella!

e qual motivo mai dato vi avrei?...

Fate i vostri lamenti, io farò i miei.

Ebben: di voi mi lagno
che cambiata vi siete;
e che il marito far crepar volete.

Di voi mi dolgo anch'io per la ragione
che vi siete cambiato.

Io!

Ve lo provo.

Amabil, come un dì, più non vi trovo.

(con ironia)

Per piacere alla signora

che ho da far vorrei sapere.

(placidamente)

Voi dovete ognor tacere,
mai di nulla sospettar.

Ma se ascolto...

Si fa il sordo.

Ma se vedo...

Si fa il cieco.

No, signora, io non l'accordo,
vo' vedere e vo' parlar.

Passerete per balordo,

vi farete corbellar.

(in collera)

Alle corte: in casa mia

non vo' turchi né italiani;
o mi scappa...

(ironica)

Che pazzia!

Qualche cosa dalle mani.

(con finta tenerezza)

Via, carino, vi calmate.

Come! ancora mi burlate?

No, mia vita, mio tesoro;
se vi adoro ognun lo sa.

Voi crudel, mi fate oltraggio?...

Mi offendete?...

(Addio coraggio.)

(fingendo dolore)

Voi vedete il pianto mio,
senza aver di me pietà!

(commosso)

No, Fiorilla, v'amo anch'io,
egualmente ognun lo sa.

(offesa)

Ed osate minacciarmi!

maltrattarmi! spaventarmi!

Perdonate...

(sdegnata)

Mi lasciate.

(correndole dietro)

Fiorilletta!...

Vo' vendetta.

Fiorillina!...

Via di qua.

Per punirvi aver vogl'io

mille amanti ognor d'intorno,
far la pazza notte e giorno,
divertirmi in libertà.

(Con marito di tal fatta

ecco qui come si fa.)

(Me meschino!) Ah no, ben mio...

(Cosa ho fatto!) In pace io torno.
(Or sto fresco!) Notte e giorno!
Questa è troppa crudeltà.

(Ah lo dico; nacque matta,

e più matta morirà.)

Ho quasi del mio dramma
finito l'orditura;
ma un atto è poco a un dramma, e Orazio dice
che minore di cinque esser non può,
ma in due parti dividerlo io dovrò.
Ignoti ai tempi tuoi
erano i drammi buffi, Orazio mio,
e gli usi nostri seguitar vogl'io.
Intanto della zingara
si vada in traccia: a lei Selim si scopra.
E tutto, onde sia suo, pongasi in opra.

(parte)

Gran meraviglie

ignote al sole,
udir chi vuole,
chi vuol mirar?

Il passato, ed il futuro

chi desia di penetrar?
Non vi è arcano tanto oscuro
ch'io non possa disvelar.

Gran meraviglie

ignote al sole,
udir chi vuole,
chi vuol mirar?

Per la fuga è tutto lesto,

buono il vento, e cheto il mar:
impaziente io qui mi arresto
la mia bella ad aspettar.

(Qui Selim! senza conoscerlo

Zaida ad esso si avvicina.)

Dalla zingara indovina
chi vuol farsi astrologar?

Zingarella, vieni avante:

che ti dicono i pianeti?

Ah! qual voce! qual sembiante!
Non ho fiato per parlar.

(Or si fa lo scoprimento;

vi sarà uno svenimento,
vo un sedile a preparar.)

Che t'annunzia la mia sorte

di funesto, e duro tanto,
che sugli occhi quasi il pianto
io ti veggo tremolar?

Per ingiusta gelosia

veggo Zaida tratta a morte;
ma t'adora, e sol desia
di poter con te tornar.

Dove vive l'infelice?...

Ma... non erro... Zaida bella!

Sì, signor, io sono quella!

Vieni a me, mio caro bene.

Ecco il fin delle mie pene,
sola mia felicità.

(Vi è il sedile, e non si sviene,

colle regole non va.)

Perché mai se son tradito,

crudo amore, il cor m'accendi?
O l'amante alfin mi rendi,
o mi dona libertà.

Evviva d'amore

il foco vitale,
delizia del core,
del mondo piacer.

Chi servir non brama amore

si allontani, io l'ho con me.
Per domar superbo core
arco e face Amor mi diè.

Che bel canto! che presenza!

Qui mia moglie ha da venire,
voglio fare... voglio dire...
se la trovo, sentirà.

Vago e amabile straniero!

Bella ninfa!

(A lei s'appressa!)

(Par Fiorilla.)

(È dessa, è dessa.)

(Qui Geronio, e qui l'amante!)

Deh! scoprite il bel sembiante.

(Siam da capo: è già cambiato.)

Vi scoprite.

Infido! ingrato!

così m'ami? guardami.

Ah!

Ah! che il cor non m'ingannava,

certi sono i torti miei.
Io mi sento in faccia a lei
dallo sdegno lacerar.

Ah! che il cor non m'ingannava,

osservava i passi miei.
Io non oso in faccia a lei
per vergogna il ciglio alzar.

Questa scena ci mancava

per compire i versi miei:
ci è sorpresa a cinque, a sei.
Gran finale si può far.

(volgendosi dispettosa a Fiorilla)

Vada via: si guardi bene

di cercar l'amante mio.

(dispettosa egualmente le risponde)

Quel signor non le appartiene,
qui con lui restar vogl'io.

Ma sentite... vi calmate.

Voi che dite? Non parlate?

Presto a casa, a casa presto...

Che disordine è mai questo?

Oh! che caso singolar!

Lo vedremo, lo vedremo...

A veder ci sarem due.

Mia signora, non la temo...

Le civette pari sue...

Le pettegole sue pari...

Saprò bene castigar.

(quasi azzuffandosi)

Come! come! a me pettegola!

Oh! cospetto! a me civetta!
sei tu sola la pettegola,
sei tu sola la civetta;
frasca, sciocca, impertinente...
Che maniera di trattar!

(dividendole)

Cosa fate? olà... placatevi,

Quale sdegno... qual furore!...

Ma Fiorilla... vergognatevi...
Zaida, ohibò!... non hai rossore?
Deh! parlate colle buone,
non vi state a cimentar.

(godendo dello spettacolo)

Seguitate... via... bravissime!

Qua... là... bene; in questo modo
azzuffatevi, stringetevi,
graffi... morsi... me la godo...
che final! che finalone!
Oh! che chiasso avrà da far.

Quando il vento improvviso sbuffando

scuote i boschi, e gli spoglia di fronde,
quando il mare in tempesta mugghiando
spuma, bolle, flagella le sponde,
meno strepito fan di due femmine
quando sono rivali in amor.

Via... cosa serve? Omai
bisogna darsi pace; ella fra poco
colla sua compagnia
a cenar qui verrà: potrete allora
corla sul fatto; ora bevete, e in bando
vadano un solo istante
la moglie capricciosa, ed il galante.

Caro Poeta mio, darei la testa
nella muraglia, se a' capricci suoi,
e alla mia cecità volgo il pensiero...

Sofferenza ci vuole.

(versandogli da bere)

Anche un bicchiero.

(Prevedo qualche incontro: il vin potrebbe
porger qualche coraggio al scimunito,
altrimenti il mio dramma è già finito.)

Credi che in questo albergo
verrà certo la pazza?

Anzi, una cena

è per lei preparata
splendida veramente, e questa notte
passerà coi compagni in festa, e in gioco.

Saprò ben disturbarla.

(versandogli da bere)

Un altro poco.

A proposito, amico,
senza molto cercarti io qua ti trovo.
Gran cose debbo dirti.

(Intrigo nuovo.)

E grandi cose anch'io
bramava dirvi appunto.

(Io mi ritiro

per schivare ogni impegno e notar tutto.)

(si ritira, e di tanto in tanto si fa vedere esplorando)

Io t'ascolto.

Parlate.

Dunque possiam seder.

Come bramate.

Or principia, se vuoi.

No, principiate voi.

Ebben, principierò: quanti anni sono
che con donna Fiorilla
vi unisce il matrimonio?

Fra poco saran sei. (Calma, Geronio.)

Amor che passa un lustro
deve stancare assai.

Di fatti io sono

stanco, ma stanco molto.

E il matrimonio

è un gran peso fra voi.

Lo sa ciascuno

che lo sente sul dorso.

(Va bene: a maraviglia.)

(Qual discorso!)

Quando si trova poi
una donna bizzarra, e capricciosa
come la vostra sposa,
il povero marito...

È rovinato.

(Seguitiam polito.)

Or dunque del tuo stato
trovar ti devi malcontento assai.

L'avete indovinato.

Io vengo amico,

ad offrirti un rimedio,
a cavarti d'impiccio; e non dovrai
per il riposo tuo faticar molto.

Ma... come!... vi spiegate.

Odi.

Vi ascolto.

D'un bell'uso di Turchia

forse avrai novella intesa;
della moglie che gli pesa
il marito è venditor.

Sarà l'uso molto buono,

ma in Italia è più bell'uso:
il marito rompe il muso
all'infame tentator.

Anche questo sarà bello,

ma fra noi non deve entrare.

Anzi, questo più di quello
mi conviene d'abbracciare.

Ma perché?

Le nostre usanze

piace a me serbare ancor.

Se Fiorilla di vender bramate,

senza fare più lungo discorso
io la compro, e denaro vi sborso
da comprarne al bisogno anche tre.

Signor turco, l'ho detto, e il ripeto,

io non vendo mia moglie a persona,
e perciò, sia cattiva o sia buona,
io... mia moglie l'ho presa per me.

(Maledetto!) Ma pensi...

(forte ed alzandosi)

Ho pensato.

Lei si scalda...

Mi scaldo, sicuro.

(Un cervello più strano e più duro
io scommetto che al mondo non è.)

(arrabbiato)

Non volete?

No, cospetto.

Ricusate?

Sì, ricuso.

Voglio averla a tuo dispetto.

Non l'avrà...

Conosco altr'uso...

E sarebbe...

D'involarla,

ed in vece di pagarla,
il buffone ~ che s'oppone,
per far presto, d'ammazzar.

Ma dovrete paventare,

ch'ella invece d'ammazzare
succedesse ~ che dovesse
ammazzato qui restar.

(minacciando e ritirandosi a vicenda)

Alle prove, venga avanti...

Presto, ~ via, ~ si provi un poco...
Temerario! in pochi istanti
ci vedremo in altro loco;
e saranno coltellate,
schioppettate, ~ moschettate;
e vedrà che non mi lascio
da minaccie spaventar.

(via da parte opposta)

Credea che questa scena
dovesse accelerar la conclusione;
ma l'affare va in lungo, e qui fa d'uopo
cercar che venga presto lo sviluppo,
e venga naturale;
poi finir con un poco di morale.
O mio cervello, ti affatica e suda,
inventa il dramma mio come si chiuda.

(parte)

Non v'è piacer perfetto

se no 'l procura amor;

de' giochi e del diletto

amore è genitor.

Se il zefiro si posa

a carezzare un fior,
se va da giglio a rosa
vaga farfalla ognor,

farfalla e zefiretto

move il poter d'amor.

De' giochi, e del diletto

amore è genitor.

Quando la primavera

ride il primiero albor,
quando natura intiera
riveste il primo onor,

è l'aura del diletto

che sparge in terra amor.

Non v'è piacer perfetto

se no 'l produce amor.

(il coro si pone a giocare)

Che turca impertinente! osa a Fiorilla
l'amante disputar! saprò ben io
vendicarmi di lei: voglio che sia
presente al mio trionfo. Ad ogni costo
di quella sciocca abbasserò l'orgoglio.
Abbia il suo turco poi che non lo voglio.
Io l'ho fatta invitar a questo albergo
a nome di Selim; venga, e vedremo
di noi chi vincerà.

(sulla porta indecisa)

Scusate... errai...

Entrate, entrate pure: io v'invitai.

(entrando)

Voi!

Sì: fra pochi istanti

qui vedrete Selim. Sul cor di lui
non voglio che la vostra lontananza
mi apporti alcun vantaggio. Ora dovremo
disputarcelo in pace:
sceglierà di noi due chi più gli piace.

Inutile è la scelta
dove parla il dovere, e parla onore.

Tutto, tutto, si sa, cede all'amore.
Ecco appunto Selim.

Trovarvi sola

finalmente io credea, bella Fiorilla,
ma non potete star sola un momento.

Sarete più contento,
quando tutti osservati
avrete i convitati.

(accorgendosi di Zaida)

Zaida!

Infedel.

Ma... come! in questo albergo!

Che vuol dir ciò?

Questa locanda ornai

di sua bella presenza,
per veder se a me date,
o a lei, la preferenza. Decidete.

Parlate.

In gran cimento mi mettete.

Perfido! intendo: de' miei torti io stessa
qui venni spettatrice.

Ah! no...

Partite

dunque con lei.

Neppure.

Ebben: venite.

Ma lasciate ch'io possa
un momento pensar...

Pensar? No... parta

meco Selim, o a me rinunzi.

E a me,

se qui non resta.

(Impiccio egual non v'è.)

Crudel! non più: comprendo
qual per me serbi amor; io ti abbandono
alla rivale in braccio. Un giorno forse
ti pentirai, ma tardi,
d'aver l'affetto mio così schernito;
allor che da costei sarai tradito.

(parte)

(Povera Zaida! io sento
pietà per lei: tanto rigor non merta.)

(Parla fra sé: la mia vittoria è incerta.)
Mi sembrate commosso: non parlate?...
Via: corretele dietro,
e la bella dolente consolate.

No... vada pure... ma lasciate almeno
ch'io la compianga: ella m'adora...

E parmi

che l'adoriate ancor.

Il primo oggetto

dell'amor mio fu Zaida...

E sia l'estremo.

L'estremo!

Addio: mai più ci rivedremo.

Deh!... perdonate...

Amante alcun non voglio

che abbia diviso fra due donne il core.

Che dite? per voi sola io sento amore.
Per carità, placatevi,
calmate il vostro sdegno...

Andate, andate... di me siete indegno.

Ingrata! mi scacciate...
Ebbene... io partirò.

Farete bene.

Addio... (Mi lascia andar!)

(Davvero ei parte!)

(Politica ci vuol.)

(Ci vuol dell'arte.)

(in disparte come parlando fra sé)

Credete alle femmine

che dicon d'amarvi!
Di un nulla si sdegnano,
minaccian lasciarvi.
Di donna l'amore
è un foco che more
appena brillò.

(facendo il medesimo gioco)

Credete a questi uomini

che avete d'intorno!
Per tutte sospirano,
non amano un giorno.
Son l'aura d'estate
che più non trovate
appena spirò.

(avvicinandosi un poco)

E ingiustizia lamentarsi

se si sprezza un cor fedele.

(volgendosi un poco)

Bella cosa allontanarsi
per non dir che si è infedele.

(correndo, e con forza)

Io no 'l sono.

A voi non parlo.

Come!

No.

Parea di sì.

In Italia certamente...

(con dispetto)

In Turchia sicuramente...

Non si fa l'amor così.

(a parte tutti e due)

(Ma se dura la questione

prende foco, e se ne va;
si discorra colle buone
ed allor si placherà.)

(supplichevole)

Dunque sperar non posso!...

(commossa)

Dunque schernita io sono!...

(per baciarle la mano)

La vostra man...

(ritirandola a fatica)

Non posso.

Idolo mio, perdono!...

(con tenerezza)

Lo meritate?

(con trasporto)

Io v'amo.

E mi amerete?...

Ognor.

Dove diamine è andata? è quasi un'ora
che la tavola è pronta per la cena,
e non si vede ancor? forse al festino,
che a quel turco si dedica, sarà.

(per uscire)

Fermate.

Cosa ci è?

Gran novità.

Spiegati.

È preparato,

amico, un rapimento.

Che dici? e il vero io sento?

(È partita Fiorilla, e qui costoro!
che fanno? udiamo un poco.)

Ad un festino

Fiorilla deve andar: ivi l'attende
mascherato Selim, che di ridurla
spera a partir con lui per la Turchia.

(Che ascolto!)

Me infelice!... oh moglie mia!...

Udite, a Zaida io corsi
tutto a narrar; vestita al par di lei
ella al festino andrà; talché Fiorilla
colla maschera in volto sembrerà.
Voi da turco dovete entrar colà.

E allora?...

Allor potrete

l'ingannata Fiorilla...

Ho inteso... andiamo...

più tempo non perdiamo.

Eh! non temete,

l'ultimo a comparire
Selim sarà: molti de' nostri amici
onde tenerlo a bada
troverà per la strada; andate intanto
a procacciarvi maschera, e vestito.

Io corro.

(parte)

(Il dramma mio spero compito.)

(parte)

(partiti Don Geronio ed il Poeta, esce lieto e frettoloso)

Intesi: ah! tutto intesi. In questo albergo

mi guidò la fortuna. Ingrata donna,
non fuggirai da me. Tutto vogl'io
tentar perché mi resti;
la fé mi serberai, che promettesti.

Tu seconda il mio disegno,

dolce amor, da cui mi viene.
Deh! ricusa a tutti un bene,
che accordasti un giorno a me.

Se il mio rival deludo!

Se inganno un'incostante!
Per un offeso amante
vendetta egual non v'è.

Ah! sì; la speme

che sento in core,
pietoso amore,
mi vien da te.

(parte)

Oh! che fatica! che cervello duro!
Sono quasi sicuro
che sbaglia la lezione,
e il secondo atto mio guasta e rovina;
ma confido però nell'indovina.

Ecco appunto Albazar. Ebben: trovasti
il vestito per Zaida?

Lo trovai.

Bravo! gran parte nel mio dramma avrai.

Altro io non bramo, che veder felice
la povera ragazza.

E il tuo carattere,

benché non sia sublime,
non sarà privo d'interesse in tutto,
se del nostro operar corremo il frutto.

Or qui Zaida mi manda
per saper dov'è il luogo della festa.

Hai ragione: oh! che testa!
Avea dimenticata
la cosa più importante.
Addio: corro da Zaida in un istante.

(parte)

Zaida infelice! or che trovò l'amante
dell'innocenza sua fatto già certo,
di un'altra donna innamorato il vede:
è questo il premio di sua lunga fede?

Ah! sarebbe troppo dolce

il servir al dio d'amore
s'ei destasse egual ardore
in quel sen che no 'l provò.

Ma cotanto capriccioso

è quel nume a cui serviamo,
che ci da chi non bramiamo,
e giammai chi si bramò.

(parte)

Amor la danza mova,

presieda ai suoni Amor,
solo piacer ritrova
quando è commosso il cor.

Se in mezzo ai suoni, e ai canti

il cieco nume appar,
son cieche ancor le amanti,
si lasciano piegar.

E Selim non si vede!
Fra tanta gente ancora
non lo posso trovar... ove sarà!

(Quella è Fiorilla.)

(vedendo Narciso, e credendolo Selim)

Oh appunto, eccolo qua.

Selim...

Fiorilla...

E tanto

aspettar vi faceste?

Perdonate...

Datemi il braccio, e meco passeggiate.

Amor la danza mova,

presieda ai suoni Amor,
solo piacer ritrova
quando è commosso il cor.

Cara Fiorilla mia, perché tacete?
Forse sdegnata siete
perché venni un po' tardi?
Mille maschere intorno io mi trovai...

Disimpegnarvi almeno
dovevate più presto.

Eh! via, perdono...

Fiorilla...

(Traditor! son tutta in foco.)

Prendete il braccio, e passeggiamo un poco.

Se in mezzo ai suoni, e ai canti

il cieco nume appar,
son cieche ancor le amanti,
si lasciano piegar.

Eccomi qui: la prima volta è questa
che in maschera mi trovo ad un festino.
Povero don Geronio!
Maledetto l'amore, e il matrimonio.

Ma che vedo! Fiorilla è già arrivata.
E già seco è Selim.

Ma... come? un altro

Selim qui vedo, e quella pur mi sembra
Fiorilla... che pasticcio è questo qua?

(guardando or gli uni, or gli altri)

Quale di lor la moglie mia sarà?

Oh! guardate che accidente!

non conosco più mia moglie!
Egual turco, eguali spoglie.
Tutto eguale... che farò?

No, partir di qui non posso

senza voi, Fiorilla mia.

Ma comprendere non posso

qual sarà la sorte mia.

Deh! seguitemi in Turchia,

là mia sposa vi farò.

Persuadermi il cor vorria,

ma risolvermi non so.

Son davvero un bello sposo,

non capisco più qual sia
di lor due la moglie mia;
parlar deggio, sì o no?

Dunque seguitemi.

Ebben, son teco.

Io resto attonito,
divento cieco.

(per partire)

Andiamo.

(fermandoli)

Partono!

Ferma... alto là.

Cosa domanda?

Cosa desia?

Ai fatti suoi
attento stia.

Geronio è questo:
venite presto.

Ah! ah! ho capito:
è mio marito.

Qui resterete,
non partirete;
voglio mia moglie,
che qui si sta.

È qui sua moglie?

Diventa pazzo!

Voglio mia moglie.

(accorre a frapporsi)

Quale schiamazzo!

In altro loco
la troverà.

Alto! nessuno

se n'anderà.

Questo vecchio maledetto

potria dar di noi sospetto;
zitti, zitti, andiamo fuori
pria che n'abbia a cimentar.

Ah! turcaccio maledetto!

Fremo d'ira e di dispetto...
ma sentitemi, signori,
ma lasciatemi parlar.

Questo vecchio maledetto

smania, grida, fa dispetto.
Zitto, zitto, andate fuori.
Non ci state ad inquietar.

Egli è un pazzo... lo sentite?

(Ci conviene di scappare.)
Ah, tenetelo... impedite...
(Idol mio, non dubitare.)
Non è quella, non è questa...
Lei s'inganna; è la sua testa
che l'immagina fra lor.

Non son pazzo! ma sentite...

mi volete assassinare...
Vo' mia moglie, mi capite?...
ma lasciatemi parlare...
Sarà quella, sarà questa...
questa, quella... la mia testa
non può scegliere fra lor.

Siete pazzo... ma sentite...

Non si viene a disturbare...
sarà vero quel che dite,
ma per or lasciate stare...
Non è quella, non è questa...
lei s'inganna; è la sua testa
che l'immagina fra lor.

Uh! che caldo! non posso
una parola sola
nemmeno articolar. Darei del capo
nella muraglia... ah! più riparo alcuno
a tanto mal non veggio...
Perdo la moglie... si può dar di peggio?

Ah! Poeta... non sai.

Sì, so tutto; incontrai
Zaida insieme a Selim: l'ho conosciuta
al segno che mi fece.

Ma Fiorilla

era qui pure, e avea
una maschera seco
che quel turco parea.

Chi mai sarà?

Venite meco, tutto si saprà.

(partono)

Benedetta la festa, e chi la diede!
Alfin ha vinto Zaida, e in pochi istanti
partirà con Selim.

(ai facchini)

Presto; i bauli

si trasportino al mar senza indugiare.
Andiamo il locandiere ad avvisare.

(entra)

Tutto è scoperto. Era Narciso.

E come

poté Narciso?...

Di Fiorilla amante

era anch'egli.

Che dici? ed io, buffone,

io lo lasciava entrar liberamente!

Gran cecità!

Non m'accorgea di niente.

E adesso ove si trova
quella civetta?

Dopo aver scoperto

Narciso, l'ha piantato, ed è tornata
al festino i compagni a ricercare;
or va in traccia del turco.

E che ho da fare?

Io ve 'l dirò: l'ho già disposto in mente
come fosse un drammatico accidente.
Un giorno mi diceste
che stanco di soffrir gli oltraggi suoi,
di allontanar da voi
Fiorilla proponeste,
e di fare un divorzio anche otteneste.

È vero, e la sentenza
diedi al Paglietta.

Bene.

Or dovete ricorrere al Paglietta,
e fingere senz'altri complimenti
di rimandar Fiorilla ai suoi parenti.

Ma se ostinata sprezza
il mio finto divorzio, e se col turco
ella partir risolve, ah! caro amico,
è finita la festa.

No, signori: con voi Fiorilla resta.

Perché?

Selim con Zaida ha fatto pace;

egli stesso mi manda
a prender la sua roba alla locanda.

(parte)

La sorte ci seconda.

Conservate

fermezza in ogni evento.
(Non si può dar migliore scioglimento.)

(Chi avria creduto a questo segno audace
Narciso!) Ecco il marito. Inver mi sento
un po' mortificata. Ma, coraggio!
Io so con lui di quanto
comprometter mi posso.

(esce)

(Ecco la pazza: ho mille furie addosso.)

Serva, signor marito.

Schiavo, signora mia.

Dunque pensate

di farmi corbellar sempre così?
Tanto rumore!...

(Adesso io crepo qui.)

Non tema signorina,
che corbellar mai più non la farò...
Rimedio ci porrò... l'avviso intanto
che ravvisto mi son più che non crede,
che in casa mia più non si mette il piede.

(entra in casa e chiude)

Non l'ho veduto mai burbero tanto.
Comincio quasi a spaventarmi alquanto.

Oh Poeta, a proposito venite:
dov'è Selim?

(piano all'usciere)

(Andate

a prendere la lettera e il fardello.)

Dite: dov'è Selim?

Egli è occupato.

Come?

Con Zaida si è pacificato.

Anzi, fra poco ei parte
con essa per Turchia.
(Nota tutto, ed osserva, o musa mia.)

Vinto dunque ha colei? perfido! ed io
nulla per lui curava
lo stuol di mille amanti,
del marito il dispetto?...

(Un altro colpo, ed otteniam l'effetto.)

Amici, un sol momento,
possiam, se lo bramate,
riposarci in mia casa...

Alto! aspettate.

Questa lettera a voi manda il marito.

Qual capriccio! Leggiam.

«I vostri cenci

vi mando, e in casa mia più non vi voglio:
essa è chiusa per voi, dimenticate
d'essermi stata moglie, e il rossor vostro
seppellite in Sorrento.
Don Geronio.» Qual colpo! ohimè! che sento?

Poeta... egli è partito... oh dio! son chiuse

della casa le porte...

L'irritato consorte

per sempre mi scacciò... Dunque a Sorrento
degg'io tornar? o mia vergogna! ahi! quale,
quale asilo trovar! tutto ho perduto.

Pace, marito, onor, intendo...

(ai servitori che mostrano le robe)

Ah! questi

i testimoni sono
della miseria mia... Vani ornamenti,
che fate meco omai! itene tutti,
itene sparsi a terra; io vi calpesto,
cagioni de' miei falli, e vi detesto.

Squallida veste, e bruna,

d'affanno e pentimento,
fia l'unico ornamento
che si vedrà con me.
Lutto non v'ha che basti
a chi l'onor perdé.

(L'affare è andato bene,

più da temer non v'è.)

Amici, a noi conviene

volger lontano il piè.

Caro padre, madre amata,

quale affanno sentirete,
quando sola e disprezzata
vostra figlia rivedrete
far ritorno sconsolata
all'antica povertà?

Al marito chiedete soccorso,

ma da noi non sperate pietà.

Bene! bravi! rampogne! rimorso!

Il mio dramma compito sarà.

Falsi amici, voi pur mi lasciate!

Ah! comincio a conoscervi appieno.
Voi restate, se il cielo è sereno,
voi fuggite, se nero si fa.
L'infelice, che opprime sventura,
più sostegno e conforto non ha.

Chi rovina a sé stesso procura

solo accusi la sua cecità.

Ci è morale; ~ oh che scena sicura!

Oh che incontro al teatro farà!

Che dramma! son contento:
un miglior argomento
trovar non si potea, né in miglior modo
avviluppar si cercherebbe un nodo.

Amico! a meraviglia: pianti, strida,
rimorsi da tragedia.

Io ti ringrazio,

poeta mio. Credi che sia pentita,
e corretta davvero?

Se lo credo?

Anzi saggia per sempre io la prevedo.

Ed or, che far bisogna?

Seguitarla

senza farsi vedere; e se si lagna,
se piange, se promette
di mutare costume, e viver bene,
perdonarle, e riprenderla conviene.

Sì, mi è forza partir; non ho coraggio
di presentarmi a lui: grave è il mio torto.
Questa vicina al porto
spiaggia rimota, provveduta è sempre
di battelli che vengono e che vanno
da Napoli a Sorrento... è qui... La nave,
è quella di Selim. Non fossi a questa
spiaggia approdata mai, nave funesta!

Miratela: sospira.

Ella è pentita,

è pentita davver.

No 'l ve 'l dicea?

Perché state indeciso? andate innanzi.

(Mi guarda e si avvicina.)

V'ha scoperto, e vi mira.

(In mio favore

chi sa? forse gli parla il primo amore.)

Son la vite sul campo appassita,

che del caro sostegno mancò.

Io son l'olmo a cui venne rapita

la sua vite, ed ignudo restò.

Il cultore son io, di buon cuore,

che di nuovo congiunger li può.

Cara vite...

Olmo diletto...

Oh che bella allegoria!

Al mio cuore...

All'alma mia...

...tu potresti ritornar.

Il final non può sbagliar.

Bravi, sì, buon pro vi faccia!
Nulla al dramma può mancar.

Rida a voi sereno il cielo,

sian per voi tranquilli i venti,
e vi portino contenti
nella patria a respirar.

Cara Italia, io t'abbandono,

ma per sempre in cor t'avrò.
Che per te felice io sono,
ogni di rammenterò.

Vien Fiorilla. Già con lei

don Geronio ha fatto pace.

(Ecco il turco... non vorrei...
quest'incontro mi dispiace.)

(piano a Geronio)

Non lo posso più vedere.

(piano a Fiorilla)

Un saluto per dovere...
poi va ben piantarli qua.

(appressandosi)

Perdonate i nostri errori.

Perdonati già vi sono.

Permettetemi, signori,

che vi chieda anch'io perdono!
Ah, l'esempio che mi date
ben correggermi saprà.

È l'intreccio terminato,

lieto fine ha il dramma mio;
e contento qual son io
forse il pubblico sarà.

Restate contenti,

felici vivete.
E a tutti apprendete
che lieve è l'error,
se sorge da quello
più bello l'amor.